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mercoledì 2 febbraio 2011

Figli o lavoro?In Italia si sceglie, in altri Paesi Europei si portano avanti entrambe le cose...

Care amiche,
oggi su esplicita richiesta di alcune di voi, parliamo della maternità e dei diritti sul lavoro, perchè spesso si alimenta confusione e non sempre è chiaro cosa si può fare e cosa no, con grande ansia e frustrazione per chi  invece dovrebbe solo vivere la gioia della nascita.
In Italia non si fanno più figli, con grande preoccupazione della politica, ma non è un compito da geni della lampada capirne il perchè. Una donna su due perde o rinuncia al lavoro a causa della maternità, e questo a tutti i livelli di carriera, dalle donne manager alle operaie (per non parlare dell'incubo che vivono le precarie). La donna è punita sul lavoro per il fatto di essere diventata mamma. Ci sono testimonianze di donne manager che hanno dedicato la loro vita al lavoro e che magari solo a 39 anni hanno ritenuto opportuno intraprendere la maternità. Ebbene dopo anni di duro lavoro al loro rientro sono state licenziate. E' l'esempio di Stefania Boleso, 39 anni, da 10 anni  responsabile marketing di Red Bull. Oppure ci sono mamme che subiscono mobbing, demansionamento e qualsiasi barbarie solo perchè sono state in grado di dare all'Italia un figlio e non possono permettersi di perdere il lavoro.
E' pur vero però che non bisogna fare di tutta l'erba un fascio, e ci sono anche ambienti di lavoro che tutelano la maternità, ma tutto sta alla ragionevolezza e all'umanità del top management e non ancora purtroppo alla consapevolezza che una mamma è una grande risorsa sia a lavoro che per il Paese. Questa consapevolezza, che è chiara in Paesi come la Norvegia ad esempio, si ripercuote sulla crescita del PIL nazionale incrementandola (e non sono sensazioni ma numeri!!!).

Veniamo a questo punto ai diritti delle mamme sul lavoro. Vi anticipo che la trattazione di questo argomento potrebbe non essere esaustiva e per questo vi rimando a consultare tutte le fonti in materia.
La tutela della donna in caso di maternità è regolamentata dalla legge n. 151 del 26 marzo 2001 che ha sostituito la vecchia legge n. 1204 del 1971 (“Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”). 
La tutela del posto di lavoro
Le donne in attesa di un figlio, non possono essere licenziate nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e il primo anno di età del figlio.
In caso di licenziamento, occorre presentare entro 90 giorni un certificato che dichiari l’esistenza della gravidanza nel momento in cui si è state allontanate dal posto di lavoro.
Il ricorso al licenziamento è nullo per: giusta causa (colpe gravi della donna), chiusura dell’azienda, scadenza del contratto. Sempre in questo arco di tempo, la donna non può essere sospesa a meno che non venga sospesa la produzione nell’intero reparto in cui lavora.
Per i 7 mesi successivi la scoperta di essere incinta, la lavoratrice non potrà effettuare trasporti, sollevare pesi, svolgere lavori pericolosi, faticosi e insalubri. Non possono altresì esserle affidati turni di lavoro dalle ore 24:00 alle ore 6:00.
Nei periodi di assenza per maternità, si continua maturare anzianità di servizio e, solo durante il periodo di assenza obbligatorio, anche ferie e tredicesima.
Al rientro sul posto di lavoro, dopo il periodo di maternità, (sia obbligatorio che facoltativo), la donna ha il diritto di continuare a svolgere le stesse mansioni, o equivalenti, che svolgeva in precedenza.
Astensione obbligatoria
La donna ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per 5 mesi totali a scelta semi-vincolata: può continuare a lavorare fino al 7° mese e restare a casa per i primi 3 oppure continuare fino all’8° mese e restare ad accudire il bambino per i primi 4 mesi di vita. Questa ultima ipotesi deve essere concessa sia da un medico specialista del sistema sanitario nazionale che da un medico competente nella prevenzione sui luoghi di lavoro.
Nel periodo di astensione dal lavoro, la donna riceve l’80% dello stipendio ed un eventuale 20% a seconda del contratto aziendale. Stessa cosa vale per l’uomo, che ora ha la possibilità (obbligo in alcuni casi) di astenersi per i 3 mesi successivi alla nascita del bambino.
Anche le lavoratrici che hanno adottato un bambino di età inferiore ai 6 anni di età possono avvalersi del diritto di astensione al lavoro per i 3 mesi successivi l’arrivo del bambino.
In caso di aborto sopravvenuto entro 180 giorni dal concepimento, la donna ha diritto ad un normale periodo di malattia prescritto dal medico, diversamente avrà diritto ai 5 mesi di assenza con l’80% dello stipendio. 
Astensione facoltativa
Con questa legge, sia padre che madre possono astenersi dal lavoro per un massimo di 6 mesi ciascuno ma per un totale di 10 mesi ricavato sommando i periodi di assenza dell’uno e dell’altra. Le assenze possono essere continuate o frazionati e utilizzabili fino al compimento dell’8° anno di età del figlio; in alcuni casi, i genitori possono assentarsi contemporaneamente dai reciproci posti di lavoro.
Nel caso di scomparsa di uno dei genitori (sia per morte che abbandono del figlio) il periodo per il singolo genitore si allunga a 10 mesi.
Per i genitori adottivi resta tutto invariato tranne il caso in cui il bambino adottato dovesse avere una età compresa tra i 6 e i 12 anni: in questo caso, l’astensione facoltativa può essere goduta entro 3 anni dall’arrivo in famiglia.
Per i giorni di astensione facoltativa, si percepisce il 30% dello stipendio fino al raggiungimento totale di 6 mesi di assenza tra padre e madre. Successivamente saranno solo i genitori a basso reddito a continuare a percepire la stessa percentuale di stipendio. 
Diritto all’allattamento
Durante il primo anno di vita, la madre può assentarsi per 2 ore al giorno dal lavoro per accudire il bambino (una sola se l’orario di lavoro è inferiore a 6 ore); le 2 ore possono essere cumulate oppure divise sempre all’interno della stessa giornata lavorativa. Se sul posto di lavoro è presente una asilo nido aziendale o una camera per l’allattamento, la lavoratrice non può allontanarsi dalla struttura e le ore messe a disposizione scendono a una soltanto (divisibile in 30 minuti per 2 volte). 
Permessi per malattia del figlio
Padre e madre possono assentarsi dal lavoro in caso di malattia del figlio che deve essere attestata da un medico specialista.
Fino a 3 anni di età del bambino, non vi sono limiti di assenza; dai 3 agli 8 anni, si hanno a disposizione soltanto 5 giorni all’anno.
L’assenza dal lavoro deve coinvolgere solo uno dei genitori che deve presentare apposita dichiarazione all’azienda nella quale attesta che il coniuge non sta usufruendo dello stesso permesso nel medesimo periodo.
In questi giorni, e per i primi 3 anni di vita del bambino, non si percepisce stipendio ma vengono comunque versati i contributi INPS. 
Assistenza a bambini con handicap
In questo caso, i genitori possono chiedere di aumentare il periodo di astensione facoltativa fino ad un massimo 3 anni a patto che il bambino non sia ricoverato 24 ore su 24 in una struttura specializzata.
In alternativa si può chiedere un permesso giornaliero di 2 ore (retribuite) fino al 3° anno di età del bambino e successivamente 3 giorni al mese.
Cosa cambierà in Italia con la nuova direttiva UE?
I lavoratori padri dovranno poter fruire, alla nascita di un figlio, di almeno due settimane di congedo interamente retribuito. Il Parlamento europeo in seduta plenaria ha votato, con una maggioranza significativa e in prima lettura, la proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio europeo che modifica la direttiva 92/85/CEE in materia di tutela della maternità e della paternità.
Del tutto nuovo, anche per il nostro Paese, l'invito rivolto agli Stati membri di far beneficare i padri di un autonomo periodo di assenza, appunto di almeno due settimane, da utilizzare nel periodo in cui opera il congedo obbligatorio per maternità, il cui periodo minimo deve essere aumentato, dagli Stati membri dell'Unione europea, da 14 a 20 settimane. Quest'ultima misura non tocca il nostro Paese, che già stabilisce in cinque mesi l'astensione obbligatoria dal lavoro per le neo-mamme.
Anche l'Italia dovrà, però, adeguare il trattamento economico di maternità alla nuova direttiva, che prevede che le 20 settimane siano integralmente retribuite. Attualmente l'indennità durante il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità è, invece, pari all'80% dell'ultima retribuzione, con l'integrazione al 90 o al 100%, che alcuni contratti - ma non tutti - pongono a carico del datore di lavoro.
Buona giornata mamme, viva le donne!!!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Aggiungo molte aziende potrebbero prendere 400 mila euro dalla comunità europea per asilo e baby sitter per i dipendenti, ma solo pochissimi aziende lo fanno.complimenti al blog.

Unknown ha detto...

Trovo allucinante che una donna incinta prima ed una mamma lavoratrice dopo siano viste dalle aziende come peso e non come risorsa. Ma siamo in Italia. In altri paesi, credo, non avremmo dovuto faticare così tanto per veder riconosciuti i nostri diritti. Non sempre per cattiveria, piuttosto per ignoranza.
All'inizio della gravidanza è stato fondamentale confrontarmi con altre mamme che mi hanno indicato i miei diritti e suggerito di studiarmi il testo unico (TU) contenuto nel DLgs 151/2001!
E ho così scoperto che TUTTI i permessi legati a visite mediche, analisi, ecografie e tutto ciò che riguarda la gravidanza è riconosciuto dal TU (art. 14). Così donne non c'è bisogno di chiedere favori, permessi, ferie, i permessi sono retribuiti, è sufficiente poi giusticare l'assenza con un certificato.

Dopo l'astensione obbligatoria dal lavoro (i 5 mesi divisi in 2+3 oppure 1+4 - il periodo parte dalla data del parto se il parto è avvenuto dopo la data presunta, o dalla data presunta del parto se il parto è avvenuto dopo), c'è l'astensione facoltativa: 6 mesi al 30% fino a 3 anni del bambino e 0% dai tre agli 8 anni.

Per quanto riguarda le donne inoccupate o casalinghe, i padri possono usufruire degli stessi diritti delle mamme (si fa riferimento sempre al DLgs 151/2001).

Nato il pargolo, esistono anche i permessi malattia bambino.

Purtroppo è molto difficile far chiarezza, perchè i contratti sono diversi, come diversi gli enti di previdenza ed alcune aziende potrebbero applicare proprio regolamenti in tema di maternità, ma ricordate che in ogni caso devo essere migliorativi del TU altrimenti fa fede il TU.

Ci si lamenta che in Italia la crescita democratica sia prossima alla zero, ma perchè stupirsi? E' davvero difficile per una donna gestire una famiglia e il proprio lavoro (per non parlare della carriera). Che paese è quello che costringe una donna a scegliere tra la sua realizzazione professionale e la sua soddisfazione personale?

Eppure una mamma lavoratrice non rappresenta un costo così elevato per le aziende. Secondo una recente ricerca dell’Università Bocconi, il costo di gestione della maternità rappresenta solo lo 0,23 per cento dei costi di gestione del personale. Lo 0.23%!! Davvero niente! Eppure ci sono ancora tanti pregiudizi.
Ma credo sia importante diffondere informazioni relative alle nostre tutele e ai nostri diritti. Conoscendole anche noi impareremo a farci rispettare e a farci rispettare, perchè non si debba più dover fare questo tipo di scelta!
Ma è questo un paese per le donne?