Care amiche,
quando si parla di flessibilità sul luogo di lavoro spesso si incorre in false ambiguità, perchè l'argomento è sicuramente uno dei più complessi della disciplina del diritto del lavoro.
L'obiettivo di oggi di Mom&Woman, sempre nel tentativo di facilitare l'utilizzo degli strumenti di flessibilità sul lavoro da parte di mamme e neomamme, è di fare luce su questo argomento.
La flessibilità deve essere inquadrata in due ottiche diverse: in primo luogo, dal punto di vista del lavoratore ed in secondo luogo, dal punto di vista del datore di lavoro.
Spesso questi due aspetti si confondono e si da un'accezione estremamente negativa alla flessibilità, perchè la si analizza esclusivamente dal lato del datore di lavoro. Gli strumenti di lavoro flessibile possono essere invece considerati un valido veicolo di crescita, se ne si comprende la logica per il lavoratore, e già lo rappresentano in Europa.
Voglio sottolineare che flessibilità non è solo il part-time!
Diverse, sono infatti, le possibilità di flessibilità per il lavoratore (uomo o donna):
1) Orari flessibili individuali
Normalmente la flessibilità individuale consiste nella possibilità di variare gli orari d’ingresso e di uscita dall’azienda entro certe fasce predeterminate. L’orario flessibile individuale è un istituto non previsto dalle norme del Contratto nazionale di lavoro (in seguito Ccnl), ma neppure negato come possibilità, perciò può essere istituito dalla contrattazione aziendale.Esistono alcune esperienze dove il concetto di flessibilità individuale è stato esteso, superando il vincolo delle 8 ore di presenza giornaliera: in questi casi il singolo lavoratore può variare la propria presenza sul lavoro, ad esempio, da un minimo di 6 ore a un massimo di 9, l’importante è che la presenza media, in un arco di tempo definito, sia di 8 ore.
2)Job Sharing
E' un contratto di lavoro ripartito o contratto di lavoro a coppia. Più soggetti, solitamente due, assumono contemporaneamente il medesimo rapporto di lavoro suddividendosi un unico posto di lavoro a tempo pieno. Questi lavoratori hanno la facoltà di distribuirsi tra loro, con modalità autonome, l’orario e la quantità di lavoro. Ciascun lavoratore è responsabile dell’intera prestazione lavorativa, mentre il datore di lavoro è tenuto a distinti obblighi retributivi e contributivi come nel caso di due rapporti a tempo parziale, indipendentemente dall'effettiva prestazione di ciascun lavoratore.
3)Orari annui
Nel campo degli orari annui si collocano i periodi di aspettativa non retribuita, previsti dal Ccnl, agli artt. 14-bis e 12-bis, Disciplina speciale, rispettivamente Parte prima e Parte terza che si aggiungono all'aspettativa non retribuita che si può richiedere nel caso di malattia, quando si stia per superare il periodo di conservazione del posto di lavoro.
Un ulteriore ampliamento a questa normativa deriva dai cosiddetti “congedi parentali” previsti dalla legge 8 marzo 2000, n° 53.
4) Banca ore
Il Ccnl ha introdotto due istituti: il “conto ore” per accantonare i permessi annui retribuiti e la “banca ore” per accantonare eventualmente gli straordinari. Entrambi gli istituti hanno le stesse regole per la fruizione delle ore accantonate. Questi sistemi hanno un obiettivo preciso: costruire degli spazi individuali di gestione dei riposi retribuiti, in altre parole dotare i lavoratori di strumenti individuali che “compensino” i crescenti vincoli derivanti dalle variazioni del mercato. In questo modo rompere anche la sensazione di dipendenza costante a quelli che sono i flussi produttivi e di mercato.
5)Part-Time
Il contratto a tempo parziale è un istituto previsto dal Ccnl, all’art. 1-bis, Disciplina generale, Sezione terza: la possibilità di passare da tempo pieno a tempo parziale è un diritto indiscutibile per i lavoratori per i cosiddetti “lavori di cura” (assistenza ai congiunti ammalati e per la necessità di accudire i figli con età inferiori a 7 anni) nei limiti del 2% degli occupati a tempo pieno; mentre ulteriori incrementi, fino al limite massimo contrattuale del 4%, sono subordinati alle esigenze tecniche e organizzative dell’azienda.
Gli strumenti di lavoro flessibili sono fenomeni occupazionali in continua crescita negli ultimi 20 anni in Europa, dove gli accordi sulle modalità e i tempi del lavoro sono parte integrante di una nuova strategia per l'occupazione e la crescita all'interno dell'Unione europea. Molto interessante è l'ultimo rapporto di Eurofound "Part time in Europe 2010" http://www.eurofound.europa.eu/ewco/reports/TN0403TR01/TN0403TR01.pdf.
All'estero infatti il part-time è uno strumento molto utilizzato, in ruoli di management e anche dagli uomini. Al momento, invece, in Italia è poco utilizzato (28% delle donne), spesso è "involontario" (cioè è un escamotage per pagare meno contributi ma di fatto la persona lavora full time, oppure è l'unico modo per una persona di lavorare, ma non rispecchia la sua scelta che sarebbe per un full time) e non riguarda quasi mai uomini (5%). Anzi, molte donne sono contrarie al part-time proprio perché rischia di marginalizzarle, o di istituzionalizzare il loro ruolo di cura, ammettendo di fatto che è la donna a dover fare compromessi tra famiglia e lavoro e non l'uomo. Queste distorsioni, nella mente dei datori di lavoro e della popolazione in genere, provocano un cattivo utilizzo di tutti gli strumenti di flessibilità al punto che in Italia la flessibilità è ritenuta una trappola ed è malvista.
Come sempre, servirebbe cambiare la testa agli Italiani, per produrre dei risultati. Avete idea di quanto gioverebbe il part-time oppure il job sharing ad una corretta ripartizione dei carichi lavoro-famiglia? Peccato che non sono considerati una "cosa per uomini" ma solo per donne (principalmente mamme), che implicitamente così abbandonano tutti i processi di crescita e di carriera in azienda. Provate a pensare di poter condividere tutti i carichi familiari anche con il vostro coniuge o compagno, attraverso un lavoro flessibile per entrambi, a tutti i livelli di carriera, senza che questo marginalizzi o demansioni chi lo fa.Non è un sogno e può essere realtà! Non è necessario, infatti, come accade in Italia, che la mamma che vuole il part-time, passi da manager a segretaria (nel migliore dei casi) o a dimettersi (nel peggiore); in Europa non cambia nè il job title nè l'occupazione, ma solo la fruizione del tempo libero, ed è così che deve essere anche in Italia. Una donna manager, con la maternità, non prende la qualifica di mamma-segretaria ma resta una mamma-manager con la sua laurea, le sue specializzazioni e vuole continuare a fare il suo lavoro. E questo vale a tutti i livelli di carriera: vale per le dipendenti e per le operaie, vale per tutte noi.
Solo per completezza voglio evidenziare gli strumenti di flessibilità per il datore di lavoro, anche se ahimé quelli si conoscono maggiormente perchè sono ormai entrati nel gergo comune. Parliamo, per esempio, di straordinario, di cassa integrazione e di contratti di solidarietà.Ovviamente il termine cassa integrazione e tutto quello che ne deriva per un lavoratore, ha dato alla flessibilità un ruolo negativo, anche perchè in Italia se ne parla solo in questi casi.
Eppure il vero valore della flessibilità se la si guarda dal lato del lavoratore è grande e tende alla parità uomo-donna, alla ripartizione dei carichi famiglia-lavoro, ad una migliore gestione del tempo lavorato a favore del tempo libero.Sono convinta che noi mamme e donne daremo il giusto valore alla flessibilità e ne usufruiremo davvero, solo quando non scenderemo a compromessi con la marginalizzazione ed il demansionamento in cambio di un lavoro "flessibile all'italiana"!
Buona giornata mamme, viva le donne!